A complemento dell’eccezionale valore universale riconosciuto per il Sito, esistono una serie di ulteriori elementi correlati in maniera più o meno diretta con il suo valore universale eccezionale, che potremmo definire valori complementari.
Immobili e le aree di notevole interesse pubblico
L’art. 131 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio recita: “La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili”.
I vincoli paesaggistici allo stato della legislazione nazionale sono disciplinati dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni Culturali e del Paesaggio e s.m.i. L’art. 136 individua gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico da assoggettare a vincolo paesaggistico con apposito provvedimento amministrativo, “cose immobili”, “ville e giardini”, “parchi”, ecc., c.d. “bellezze individue”, nonché “complessi di cose immobili”, “bellezze panoramiche”, ecc., c.d. “bellezze d’insieme”).
Per una trattazione più completa è possibile fare riferimento al PIANO DI GESTIONE a- capitolo 3.1.
Il rapporto con il mare
Il paesaggio del sito iscritto è fortemente connotato dal rapporto con il mare. Non incluso nella definizione dei confini del sito, il mare è controparte protagonista di quello che sono i territori UNESCO: dall’importante ruolo ambientale e scenico‐percettivo, all’economia che esso genera grazie all’attività turistico‐balneare e quella della pesca, da cui derivano pregiati prodotti tipici. Infatti, nonostante l’agricoltura sia sempre stata l’attività preponderante nel territorio, anche la pesca ha contribuito a caratterizzare l’economia e la società del luogo. In particolare a Monterosso la pesca del pesce azzurro rimase fino alla seconda metà del XX secolo l’occupazione di buona parte degli abitanti.
Fauna e flora
Gli ambienti terresti e marini possiedono inoltre un grande interesse naturalistico, dato da una ricchezza e varietà straordinaria di specie animali e vegetali. Il valore naturale del territorio è sancito dalla presenza di una diffusa rete di tutela dell’ambiente: due Parchi (Parco Nazionale delle Cinque Terre e Parco Naturale Regionale di Porto Venere), due riserve marine (Area Marina Protetta Cinque Terre e Area di Tutela Marina del Parco Naturale Regionale di Porto Venere), il Santuario dei Cetacei e 5 SIC terresti (Punta Mesco ‐ IT1344210, Costa Riomaggiore‐Monterosso ‐ IT1344323, Porto Venere ‐ Riomaggiore ‐ S. Benedetto ‐ IT1345005, Isola Palmaria ‐ IT1345104 e isole Tino ‐ Tinetto IT1345103) e 1 SIC marino (Fondali Punta Mesco – Riomaggiore IT1344270).
Tra le emergenze floro‐faunistiche, è necessaria la menzione del Fiordaliso di Porto Venere e del Tarantolino. Il primo è una piccola pianta perenne, un endemismo esclusivo del promontorio omonimo e delle isole, appartenente alla famiglia delle Composite, con una vivace infiorescenza violetta e che forma un cespuglio abbarbicato sulle falesie tipiche della costa occidentale dell’Area Parco. Il secondo è il più piccolo geco europeo (8 cm coda compresa), un rettile strettamente notturno caratterizzato da un areale frammentato e relittuale. In tutta la Liguria è presente a Torre Quezzi (GE) e, a livello insulare, esclusivamente sulle isole del Tino e del Tinetto. La rarità di questo piccolo geco è testimoniata dal suo inserimento all’interno della Lista Rossa della UICN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) come “near threatened”, prossimo ad essere classificato come minacciato ed è per tale presenza che le due piccole isole sono state individuate come aree SIC (SIC IT1345103).
Valori storico‐archeologici
Contrariamente a ciò che una conoscenza superficiale dei luoghi potrebbe suggerire, l’aspetto attuale della costa dell’estremo Levante Ligure ed i suoi problemi di assestamento non sono storia recente.
Se è vero che le caratteristiche geomorfologiche dell’area rendono difficile la conservazione e/o il reperimento di testimonianze di carattere archeologico non emergenti, tuttavia proprio l’impervietà dei luoghi individua percorsi obbligati in uso sicuramente almeno da epoca protostorica, e la straordinaria potenzialità nel controllo dei crinali, contemporaneamente sbocco sul mare e affaccio sull’entroterra, ne fece punti ideali di controllo. Lo stesso uso della pietra a secco è peraltro documentato molto prima dell’arrivo dei Romani in queste zone e non è escluso che la sistemazione a terrazze risalga al periodo preistorico.
Frequentazioni risalenti alle prime fasi della domesticazione di piante e animali (Neolitico: V millennio a.C.) sono state trovate sull’Isola Palmaria, dove una certa continuità di occupazione è confermata dalle sepolture di età del Rame della Grotta dei Colombi (IV millennio a.C.).
Più enigmatiche e forse per questo tanto più suggestive sono le testimonianze rupestri e megalitiche, ancora di dubbia interpretazione, rinvenute sul crinale di Biassa e nelle aree circostanti, attribuibili ad un ampio arco cronologico (dall’età del Rame al postmedioevo). Frequentazioni di età del Bronzo e del Ferro, queste ultime attribuibili a quei Liguri Apuani che si opporranno fieramente ai Romani, sono attestate a Pignone, Carpena (abitati) e da alcune tombe rinvenute nei comuni di Vernazza, Monterosso, nonché a Soviore e Pegazzano e tutte trovano corrispondenza in analoghi rinvenimenti avvenuti nell’entroterra spezzino e lungo i crinali della Lunigiana e della Garfagnana; ciò testimonia come il comprensorio facesse parte già in epoca preistorica di un complesso sistema di occupazione e sfruttamento del territorio, reso possibile da una conoscenza capillare dei luoghi e delle vie di collegamento e dalla capacità di sfruttarne le potenzialità pur difficili della regione.
La frequentazione di epoca romana lascia una testimonianza illustre nella villa del Varignano, nel comune di Porto Venere, occupata dal I sec. a.C. fino al IV d.C., composta di una parte signorile e di una produttiva (particolarmente ben conservato il frantoio).
Rinvenimenti del periodo imperiale sono noti a Fezzano e in località Marola, oltre che in siti subacquei (relitti) al largo di Porto Venere.
A questa messe di evidenze archeologiche si aggiunge il dato toponomastico: Corniglia sembra derivare il proprio nome dalla Gens Cornelia o dal termine cornu che descriverebbe la propaggine rocciosa su cui sorge, Riomaggiore dal Rivus maior che scorre sotto la via principale.
Quasi tutti i borghi, inoltre, sono spesso citati in documenti fin dal XII‐XIII secolo, periodo peraltro testimoniato dalla loro stessa conformazione e localizzazione, nonché dall’architettura di chiese, rocche e abitazioni.